Gli accordi di Dayton portatori di pace

30 novembre 2010 · 0 Comments

L’accordo di Dayton fu sigillato il 21 Novembre 1995 nella base di Wright-Patterson a Dayton (Stati Uniti) dopo tre settimane di negoziati tra il Presidente della cosiddetta “Repubblica della Bosnia Herzegovina”,  Alija Izetbegovic, il Presidente della Croazia Franjo Tudjman e il Presidente della Serbia Slobodan Milosevic, il tutto in presenza del segretario di stato degli Stati Uniti Warren Christopher.
L’accordo venne formalizzato ufficialmente tre settimane dopo, il 14 Dicembre 1995, al Palazzo dell’Eliseo di Parigi.
Questo accordo poneva fine alla guerra civile di Jugoslavia durata tre anni e mezzo, uno dei conflitti armati più sanguinosi dell’ex Repubblica socialista federale della Jugoslavia.
Il giorno della firma dell’accordo di Dayton ha una doppia importanza per la Repubblica Serba: da un lato la RS ha ricevuto il riconoscimento internazionale e dall’altra la costituzione dell’attuale Bosnia Erzegovina, la quale ha portato alla creazione di due entità interne allo Stato: la Federazione croato-mussulmana e la Repubblica Srpska.
Nonostante questo, diverse sono le interpretazioni dell’accordo. La parte della Bosnia appartenente alla zona della federazione Croato-mussulmana ritiene che l’accordo abbia posto fine alla guerra ed afferma che pertanto l’accordo Dayton è uno dei Trattati di pace di maggior successo al mondo. Il Parlamento della Bosnia Erzegovina, invece, non ha ancora ratificato gli accordi, nonostante essi siano parte integrante della Costituzione del Paese. Per i partiti bosniaci e croati l’accordo di Dayton è stato ormai superato, mentre la parte serba è per la sua uniforme applicazione.
Fino all’anno scorso le autorità ufficiali della Bosnia Erzegovina non hanno potuto avere il testo originale degli accordi di Dayton, il quale era stato depositato presso il Ministero degli Affari Esteri in Francia. L’anno scorso l’Ambasciata francese ha consegnato il documento all’Assemblea parlamentare della Bosnia Erzegovina. Il documento è inoltre stato tradotto dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante  nelle tre lingue ufficiali: il serbo, il bosniaco e il croato.
Nonostante le divisioni nazionali e religiose, dall’accordo di Dayton ad oggi il Paese è riuscito ad ottenere l’esenzione dal visto, a firmare l’accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione Europea, a diventare membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU e ad attuare i principi fondamentali contenuti nel trattato di Dayton.

Z.P

Nuovi progetti nucleari nel nord Europa

27 novembre 2010 · 0 Comments

Chi l'ha detto che solo in Italia va male?

Diamo un’occhiata alla Finlandia.

Il Parlamento, nel 2002, ha approvato la costruzione di un nuovo impianto nucleare da costruirsi nell’isola di Olkiluoto, che affiancherà i già due esistenti reattori nell’isola. L’obiettivo ufficiale è quello di favorire la diminuzione di emissioni di anidride carbonica; a spingere per l’approvazione, le forti lobby finlandesi della carta, le quali mirano ad ottenere   maggiore energia nucleare

La realizzazione viene affidata da TVO, la società di origine finlandese che poi gestirà l’energia prodotta, ad un consorzio Siemens-Areva, quest’ultima azienda francese leader nella diffusione del nucleare civile nel mondo.

Nel 2005 i lavori del reattore EPR (di terza generazione avanzata) iniziano, e si sarebbero dovuti concludere del 2009. Ad oggi però, le notizie che arrivano dal cantiere non sono per nulla rassicuranti. Ritardi nei lavori accumulati fin dai primi giorni, disorganizzazione della quale sono un esempio i 10.000 operai che hanno lavorato nel cantiere con evidenti problemi di comunicazione a causa delle differenti lingue parlate, lievitazione dei costi, e non ultimi problemi di sicurezza e malfunzionamenti.

La storia non finisce qui. È del maggio 2010 la decisione favorevole del governo, seguita dalla successiva retifica del Parlamento, per la costruzione di un OL4, il quarto impianto in Olkiluoto dopo i due già esistenti e il terzo ancora in costruzione 
È proprio in seguito a questa decisione, e alla consapevolezza dei molteplici problemi che si è portata dietro la costruzione del reattore EPR, che in Finlandia si sta muovendo un movimento di protesta al grido di “energia sicura”. Tra le associazioni ambientaliste della nazione vi è la consapevolezza del dato allarmante che si concretizzerà con la messa in funzione delle nuove centrali in progetto: la Finlandia diverrà il primo Paese produttore mondiale di scorie nucleari pro-capite. Ottimo regalo per le generazioni future.

M.B

Haiti, l’ONU e il “colera-keeping”

24 novembre 2010 · 0 Comments


A pochi giorni dalle elezioni legislative e presidenziali che si terranno il prossimo 28 Novembre, Haiti richiama ancora su di sé l’attenzione dei media internazionali in rifermento all’epidemia di colera che, diffusasi nel Paese poco dopo la recente alluvione, da più di un mese sta letteralmente mettendo in ginocchio sei delle dieci province dell’isola nel cuore dei Caraibi.

Josette Bijou, Gerard Blot, Garaudy Laguerre e Wilson Jeudy, alcuni dei candidati alle prossime elezioni hanno dichiarato:
"Chiediamo alle autorità di rinviare la data del voto e di pubblicare un piano di lotta all’epidemia di colera che minaccia la vita dell’intera popolazione haitiana”. 
Attraverso una commissione d’inchiesta indipendente si potrebbe arrivare, a loro avviso, a individuare le cause dell’epidemia, che ha già provocato circa 1.400 vittime nell’isola, oltre che a stabilire le responsabilità in merito. 
Diversi particolari portano infatti a pensare che la “Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione di Haïti” (denominata Minustah) abbia delle responsabilità tutt’altro che irrilevanti per quanto riguarda la diffusione del malanno nel Paese.

Nei giorni scorsi il presidente haitiano Rene Preval aveva fatto appello alla cittadinanza affinchè venissero osservate elementari norme di educazione all’igiene, ancora scarsa nell’Haiti post-sisma. Tuttavia le precarie condizioni igienico-sanitarie del territorio non possono giustificare un’epidemia di colera esplosa nell’isola caraibica a Ottobre, guarda caso una settimana dopo l’arrivo dei “caschi blu” nepalesi. Nepal dove,  per altro, l’epidemia aveva iniziato a far parlare di sé già sette giorni prima. Da una ricerca di AP risulta che le Nazioni Unite fossero a conoscenza delle cattive condizioni sanitarie interne alla base nepalese, affermando tuttavia la non responsabilità da parte dei loro soldati.



Nella giornata di lunedì in alcuni centri hatiani, tra cui la capitale Port-au-Prince, migliaia di manifestanti hanno dato vita a dure proteste invocando, talvolta attraverso il lancio di pietre o attacchi incendiari contro stazioni di polizia e copertoni, la partenza dall’isola dei soldati Minustah. Almeno due persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante gli scontri.  Il comando militare Minustah ha ammesso di avere aperto il fuoco su due uomini, poi morti, ma ha precisato di averlo fatto solo per legittima difesa.  
Il primo cittadino di Cap-Haitien, in viaggio in Francia, ha chiesto che “coloro che hanno massacrato il popolo siano identificati e puniti”. “I soldati sono lì per creare la pace, non per  uccidere”.

Per contro, Minustah aveva denunciato in una nota pubblicata Lunedì scorso “motivazioni politiche” dietro gli incidenti, con lo scopo di “creare un clima di insicurezza” alla vigilia del voto.
Sono circa 14.600 i ricoverati in strutture ospedaliere dopo il disastro causato dalle forti piogge, abbattutesi sul territorio haitiano, già devastato dal terremoto del 12 Gennaio scorso. La zona del Paese più colpita dall’epidemia di colera resta comunque quella facente capo alla provincia centrale di Artibonite, dove si contano quasi 600 vittime, circa due terzi del totale, come riferisce il sito web del Ministero della Sanità Pubblica e della Popolazione haitiano.


Non solo: è del 16 ottobre scorso la notizia che l’epidemia ha colpito perfino la vicina Repubblica Dominicana.

Dal loro arrivo ad Haiti, nel 2004, anno in cui fu destituito con un colpo di stato il presidente democraticamente eletto Aristide, le forze ONU sono considerate dalla popolazione haitiana come “un’armata d’occupazione”. Questo può aiutare, in aggiunta, a comprendere maggiormente le sollevazioni di massa degli ultimi giorni e il malessere della popolazione nei confronti dei “caschi blu” delle Nazioni Unite anche alla luce della situazione drammatica che da tempo il Paese si trova a dover fronteggiare.



M.S.

Monsanto, amaranthus palmeri e biotecnologie

22 novembre 2010 · 0 Comments

Da cinque anni a questa parte un’erba infestante chiamata Amaranthus palmeri sta infestando le colture di soia, mais e soprattutto cotone transgenici nel Sud e nel Mid-West americano. Sempre più velocemente essa sta dissestando l’economia di stati a vocazione agricola come il Tenneessee e l’Arkansas: si calcola che in questi due stati oltre 500.000 ettari coltivati siano stati colpiti dall’infestazione nel solo 2009, e le stime per il 2010 non fanno che aumentare. L’amaranto è stato definito in assoluto “la malerba più problematica per il cotone” e in Arkansas la sua diffusione su vasta scala sta avvenendo veramente solo quest’anno. Ma come fa una singola erba infestante a mettere in ginocchio l’agricoltura del sud degli Stati Uniti, e a costringere gli agricoltori più moderni del mondo a ricorrere alla zappa e alla pala nelle loro enormi aziende agricole altamente meccanizzate?


Il primo passo per capirlo è considerare l’aspetto che l’agricoltura statunitense ha ormai assunto, ossia quella di un’industria, per dimensioni e intensità. Negli Stati Uniti infatti l’agricoltura intensiva gode di particolari privilegi, e gli eccessi di produzione hanno un mercato garantito dallo Stato fin dal 1973 (tradotto, a spese dei contribuenti). L’altro dato fondamentale è quello per cui tutte le coltivazioni colpite derivano da sementi geneticamente modificate Roundup Ready, prodotte dal gigante delle biotecnologie agrarie Mosanto. Queste colture sono modificate geneticamente in modo da resistere al glifosato, il principale componente dell’erbicida totale Roundup realizzato, ovviamente, dalla stessa Monsanto. Questa combinazione permette alla multinazionale di eliminare la concorrenza di altri erbicidi rendendo le coltivazioni dipendenti dal rispettivo erbicida apposito, raddoppiando i guadagni per se stessa e vincolando il cliente all’acquisto dei propri prodotti per l’intera stagione: cliente che, per l’estrema comodità di questa pratica, nella maggior parte dei casi non ha neanche bisogno di arare i propri campi (operazione da sempre fondamentale per arricchire il terreno e preservarlo da malerbe e malattie), coltivando di più e guadagnando di conseguenza. Dopo quindici anni di uso massiccio, univoco e indiscriminato di quest’erbicida, le erbe infestanti stanno prevedibilmente reagendo e sviluppando per selezione naturale una resistenza ai prodotti chimici, divenendo così ancora più difficili da controllare perché indistruttibili se non tramite sarchiatura (estirpazione) manuale.

Negli Stati Uniti il 58% del cotone, il 66% del mais e il 93% della soia totali sono Roundup Ready. I restanti punti in percentuale comprendono sia i prodotti geneticamente modificati di altre aziende (uno su tutti il LibertyLink della Bayer) sia le colture tradizionali. Calcolando che nel mondo quasi 100 milioni di ettari – soprattutto in Usa, Brasile e Argentina – sono coltivati con colture resistenti al glifosato, e che questo è l’erbicida più usato al mondo, si può capire le reali proporzioni della questione. In poche parole, 9 volte su 10 dire “organismo geneticamente modificato” è come dire Monsanto, semplicemente. 


Monsanto ha una lunga storia alle spalle. Tra i fatti più noti che la vedono protagonista, fu il produttore negli anni ’40 dei famigerati erbicidi DDT, 2,4,5-T e del tristemente noto “agente Orange”, il defoliante usato nella guerra del Vietnam per distruggere le sue foreste, un disastro ambientale ed umano da cui il Vietnam non si è ancora ripreso, e difficilmente potrà farlo in un prossimo futuro. Una delle 10 più importanti aziende chimiche fin dal secondo dopoguerra, dopo essere stata la prima a modificare una cellula vegetale nel 1982, a cavallo del nuovo millennio è passata ad essere un gigante delle biotecnologie. A tutt’oggi, l’azienda è al centro dei dibattiti più infuocati a causa delle sue tecnologie di punta, ossia le sementi Roundup e l’ormone bovino artificiale della crescita, nonché dei processi giudiziari in cui è implicata, delle sue pratiche lobbistiche che l’hanno portata fino alla conquista di alte cariche politiche, e infine della sua politica di commercializzazione dei propri prodotti di paesi in via di sviluppo e dei metodi brutali che utilizza con le aziende concorrenti. Ciò che colpisce è come i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda occupino attualmente posizioni di rilievo nelle agenzie governative statunitensi, tra cui, oltre alla Corte Suprema, non a caso la Food and Drug Administration (FDA) e la U.S: Environmental Protection Agency (EPA), ossia rispettivamente le agenzie che dovrebbero assicurare in maniera obiettiva che i parametri alimentari e ambientali siano rispettati a livello nazionale. Queste persone sono: Clarence ThomasMichael R. TaylorAnn Veneman, Linda Fisher, Michael Friedman, William D. Ruckelshaus e Mickey Kantor. Linda Fisher è passata più volte dalla Monsanto all’EPA e viceversa. Michael R. Taylor è stato attualmente riconfermato presso la FDA, è bene notarlo, dall’amministrazione Obama. Considerando infine le cifre spese da Monsanto per finanziare le ultime campagne presidenziali e gli otto milioni di dollari spesi in lobbying - cioè in attività di pressione volte ad incidere sulle istituzioni legislative - nel solo 2008, risulterà chiaro come questo sia un esempio da manuale del controllo del potere negli Stati Uniti in cui, in modo più evidente che altrove, questo è detenuto dall'economia privata, e solo in misura molto minore dal sistema politico. 


Riprendendo il filo originario del discorso, non appare strano che queste politiche estremamente redditizie sotto il profilo finanziario giochino del tutto a sfavore dell’ambiente, della salute umana, dell’economia reale, di una corretta gestione delle risorse e di ogni altra considerazione che non siano quelle del guadagno a breve termine. L’attuale infestazione dell’amaranto ne è una dimostrazione: la miopia degli agricoltori americani è spiegabile solo alla luce della corresponsabilità di un sistema privato della gestione del potere, della connivenza del sistema politico, e spesso della complicità dei mezzi di comunicazione che per motivi di interesse non forniscono la copertura mediatica che dovrebbero  a questioni come la presente di estrema importanza.


La rivista Forbes nel gennaio 2010 ha premiato Monsanto come l’azienda dell’anno. Il 2010 è anche l’anno internazionale della difesa della biodiversità: sarebbe bene non dimenticarlo.


                                                                                                                                                            ddm

Le Monde, Gaëlle Dupont, La mauvaise graine de Monsanto, 19/10/2010, trad. it. Internazionale 872
King Corn, regia di Aaron Wolf, U.S.A. 2007 riguardo all’agricoltura intensiva statunitense
http://en.wikipedia.org/wiki/Glyphosate#Effects per la controversia degli effetti del glifosato sulla salute umana  e sull'ambiente
http://www.understandingpower.com/chap3.htm  nota 52, per maggiori informazioni sugli effetti dell’ “agente Orange”

Il razzismo sul corpo della donna

21 novembre 2010 · 0 Comments

Il 27 ottobre scorso è uscito in Francia “Vénus Noire”, “la Venere Nera” nella traduzione italiana, ultimo film del regista di origine tunisina Abdellatif Kechiche, già autore di  Tutta colpa di Voltaire, La schivata e Cous Cous, e considerato con soli tre lavori all’attivo uno dei registi di punta del cinema francese contemporaneo. Oggetto del film, presentato il 9 settembre alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia, è una storia tanto vera quanto disumana, quella di Saartjie Bartmaan, donna sudafricana portata dal suo “padrone”, il boero Caezar, a Londra dove è costretta ad esibirsi all’interno di fiere di vario genere come fenomeno da baraccone, per poi finire in Francia in un bordello.


Siamo all’inizio dell’Ottocento e  “La negra dal culo grosso” o “Venere ottentota”, come veniva da molti chiamata all’epoca, arrivata in Europa diviene oggetto di studi pseudo scientifici condotti da alcuni “scienziati”, i quali arrivarono a teorizzare l’inferiorità della “razza nera” a partire dalle prominenti forme della donna.
“Non ho mai visto testa umana più simile a quella di una scimmia” è la frase pronunciata dall’anatomista francese Georges Cuvier, le cui teorie hanno non a caso rappresentato un supporto dottrinale del fascismo. Da notare la figura del pittore naturalista dell’Académie Française, l’unico personaggio, sottolinea con precisione il sito della Fondazione Ente dello Spettacolo Cinematografo.it, a trattare Saartjie come un essere umano. 

Nel film la parte di Saartjie, (“piccola Sara” ) è interpretata dalla non professionista Yahima Torrès, egregiamente per altro. Particolarità e punto di forza del regista nordafricano è stata da sempre quella di impiegare spesso e volentieri attori non protagonisti nelle riprese dei suoi lavori. Il film non è stato concepito per essere gradevole, ma per disturbare, per mettere in luce il livello di umiliazione e discriminazione a cui furono sottoposti gli abitanti dell’Africa Nera durante il periodo del Colonialismo. Un cinema, quello di Kechiche, che non esita e non cessa di confrontarsi con la realtà attuale dal punto di vista politico e sociologico.

 Il regista nordafricano, in un’intervista rilasciata a Venezia proprio mentre il suo film veniva proiettato di fronte alla giuria, denuncia il valore politico contemporaneo di temi centrali di “Vénus Noire” come razzismo e sessismo, facendo esplicito riferimento alla Francia del 2010 che attraverso il suo primo ministro Sarkozy sta portando avanti un’opera di espulsione massiva dei Rom.

Saartjie era arrivata in Europa col sogno di poter ottenere un futuro come artista, perché tale era. Ma la realtà europea purtroppo per lei si è rivelata differente rispetto a come l’aveva immaginata. Diventò un’attrazione, in pasto al grande pubblico, per via delle dimensioni delle sue forme. Oggi il fenomeno della tratta di donne, specialmente dall' Africa (nemmeno a farlo apposta) e dall' Europa dell’Est, col fine dello sfruttamento della prostituzione, così come episodi di intolleranza su base razziale e sessuale, è sfortunatamente di estrema attualità. Ciò che accadde a Saartjie circa 200 anni fa non è così lontano da quello che oggi sono quotidianamente costrette a vivere donne arrivate in Europa occidentale nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita.


M.S. 



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