Da cinque anni a questa parte un’erba infestante chiamata Amaranthus palmeri sta infestando le colture di soia, mais e soprattutto cotone transgenici nel Sud e nel Mid-West americano. Sempre più velocemente essa sta dissestando l’economia di stati a vocazione agricola come il Tenneessee e l’Arkansas: si calcola che in questi due stati oltre 500.000 ettari coltivati siano stati colpiti dall’infestazione nel solo 2009, e le stime per il 2010 non fanno che aumentare. L’amaranto è stato definito in assoluto “la malerba più problematica per il cotone” e in Arkansas la sua diffusione su vasta scala sta avvenendo veramente solo quest’anno. Ma come fa una singola erba infestante a mettere in ginocchio l’agricoltura del sud degli Stati Uniti, e a costringere gli agricoltori più moderni del mondo a ricorrere alla zappa e alla pala nelle loro enormi aziende agricole altamente meccanizzate?
Il primo passo per capirlo è considerare l’aspetto che l’agricoltura statunitense ha ormai assunto, ossia quella di un’industria, per dimensioni e intensità. Negli Stati Uniti infatti l’agricoltura intensiva gode di particolari privilegi, e gli eccessi di produzione hanno un mercato garantito dallo Stato fin dal 1973 (tradotto, a spese dei contribuenti). L’altro dato fondamentale è quello per cui tutte le coltivazioni colpite derivano da sementi geneticamente modificate Roundup Ready, prodotte dal gigante delle biotecnologie agrarie Mosanto. Queste colture sono modificate geneticamente in modo da resistere al glifosato, il principale componente dell’erbicida totale Roundup realizzato, ovviamente, dalla stessa Monsanto. Questa combinazione permette alla multinazionale di eliminare la concorrenza di altri erbicidi rendendo le coltivazioni dipendenti dal rispettivo erbicida apposito, raddoppiando i guadagni per se stessa e vincolando il cliente all’acquisto dei propri prodotti per l’intera stagione: cliente che, per l’estrema comodità di questa pratica, nella maggior parte dei casi non ha neanche bisogno di arare i propri campi (operazione da sempre fondamentale per arricchire il terreno e preservarlo da malerbe e malattie), coltivando di più e guadagnando di conseguenza. Dopo quindici anni di uso massiccio, univoco e indiscriminato di quest’erbicida, le erbe infestanti stanno prevedibilmente reagendo e sviluppando per selezione naturale una resistenza ai prodotti chimici, divenendo così ancora più difficili da controllare perché indistruttibili se non tramite sarchiatura (estirpazione) manuale.
Negli Stati Uniti il 58% del cotone, il 66% del mais e il 93% della soia totali sono Roundup Ready. I restanti punti in percentuale comprendono sia i prodotti geneticamente modificati di altre aziende (uno su tutti il LibertyLink della Bayer) sia le colture tradizionali. Calcolando che nel mondo quasi 100 milioni di ettari – soprattutto in Usa, Brasile e Argentina – sono coltivati con colture resistenti al glifosato, e che questo è l’erbicida più usato al mondo, si può capire le reali proporzioni della questione. In poche parole, 9 volte su 10 dire “organismo geneticamente modificato” è come dire Monsanto, semplicemente.
Monsanto ha una lunga storia alle spalle. Tra i fatti più noti che la vedono protagonista, fu il produttore negli anni ’40 dei famigerati erbicidi DDT, 2,4,5-T e del tristemente noto “agente Orange”, il defoliante usato nella guerra del Vietnam per distruggere le sue foreste, un disastro ambientale ed umano da cui il Vietnam non si è ancora ripreso, e difficilmente potrà farlo in un prossimo futuro. Una delle 10 più importanti aziende chimiche fin dal secondo dopoguerra, dopo essere stata la prima a modificare una cellula vegetale nel 1982, a cavallo del nuovo millennio è passata ad essere un gigante delle biotecnologie. A tutt’oggi, l’azienda è al centro dei dibattiti più infuocati a causa delle sue tecnologie di punta, ossia le sementi Roundup e l’ormone bovino artificiale della crescita, nonché dei processi giudiziari in cui è implicata, delle sue pratiche lobbistiche che l’hanno portata fino alla conquista di alte cariche politiche, e infine della sua politica di commercializzazione dei propri prodotti di paesi in via di sviluppo e dei metodi brutali che utilizza con le aziende concorrenti. Ciò che colpisce è come i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda occupino attualmente posizioni di rilievo nelle agenzie governative statunitensi, tra cui, oltre alla Corte Suprema, non a caso la Food and Drug Administration (FDA) e la U.S: Environmental Protection Agency (EPA), ossia rispettivamente le agenzie che dovrebbero assicurare in maniera obiettiva che i parametri alimentari e ambientali siano rispettati a livello nazionale. Queste persone sono: Clarence Thomas, Michael R. Taylor, Ann Veneman, Linda Fisher, Michael Friedman, William D. Ruckelshaus e Mickey Kantor. Linda Fisher è passata più volte dalla Monsanto all’EPA e viceversa. Michael R. Taylor è stato attualmente riconfermato presso la FDA, è bene notarlo, dall’amministrazione Obama. Considerando infine le cifre spese da Monsanto per finanziare le ultime campagne presidenziali e gli otto milioni di dollari spesi in lobbying - cioè in attività di pressione volte ad incidere sulle istituzioni legislative - nel solo 2008, risulterà chiaro come questo sia un esempio da manuale del controllo del potere negli Stati Uniti in cui, in modo più evidente che altrove, questo è detenuto dall'economia privata, e solo in misura molto minore dal sistema politico.
Riprendendo il filo originario del discorso, non appare strano che queste politiche estremamente redditizie sotto il profilo finanziario giochino del tutto a sfavore dell’ambiente, della salute umana, dell’economia reale, di una corretta gestione delle risorse e di ogni altra considerazione che non siano quelle del guadagno a breve termine. L’attuale infestazione dell’amaranto ne è una dimostrazione: la miopia degli agricoltori americani è spiegabile solo alla luce della corresponsabilità di un sistema privato della gestione del potere, della connivenza del sistema politico, e spesso della complicità dei mezzi di comunicazione che per motivi di interesse non forniscono la copertura mediatica che dovrebbero a questioni come la presente di estrema importanza.
Monsanto ha una lunga storia alle spalle. Tra i fatti più noti che la vedono protagonista, fu il produttore negli anni ’40 dei famigerati erbicidi DDT, 2,4,5-T e del tristemente noto “agente Orange”, il defoliante usato nella guerra del Vietnam per distruggere le sue foreste, un disastro ambientale ed umano da cui il Vietnam non si è ancora ripreso, e difficilmente potrà farlo in un prossimo futuro. Una delle 10 più importanti aziende chimiche fin dal secondo dopoguerra, dopo essere stata la prima a modificare una cellula vegetale nel 1982, a cavallo del nuovo millennio è passata ad essere un gigante delle biotecnologie. A tutt’oggi, l’azienda è al centro dei dibattiti più infuocati a causa delle sue tecnologie di punta, ossia le sementi Roundup e l’ormone bovino artificiale della crescita, nonché dei processi giudiziari in cui è implicata, delle sue pratiche lobbistiche che l’hanno portata fino alla conquista di alte cariche politiche, e infine della sua politica di commercializzazione dei propri prodotti di paesi in via di sviluppo e dei metodi brutali che utilizza con le aziende concorrenti. Ciò che colpisce è come i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda occupino attualmente posizioni di rilievo nelle agenzie governative statunitensi, tra cui, oltre alla Corte Suprema, non a caso la Food and Drug Administration (FDA) e la U.S: Environmental Protection Agency (EPA), ossia rispettivamente le agenzie che dovrebbero assicurare in maniera obiettiva che i parametri alimentari e ambientali siano rispettati a livello nazionale. Queste persone sono: Clarence Thomas, Michael R. Taylor, Ann Veneman, Linda Fisher, Michael Friedman, William D. Ruckelshaus e Mickey Kantor. Linda Fisher è passata più volte dalla Monsanto all’EPA e viceversa. Michael R. Taylor è stato attualmente riconfermato presso la FDA, è bene notarlo, dall’amministrazione Obama. Considerando infine le cifre spese da Monsanto per finanziare le ultime campagne presidenziali e gli otto milioni di dollari spesi in lobbying - cioè in attività di pressione volte ad incidere sulle istituzioni legislative - nel solo 2008, risulterà chiaro come questo sia un esempio da manuale del controllo del potere negli Stati Uniti in cui, in modo più evidente che altrove, questo è detenuto dall'economia privata, e solo in misura molto minore dal sistema politico.
Riprendendo il filo originario del discorso, non appare strano che queste politiche estremamente redditizie sotto il profilo finanziario giochino del tutto a sfavore dell’ambiente, della salute umana, dell’economia reale, di una corretta gestione delle risorse e di ogni altra considerazione che non siano quelle del guadagno a breve termine. L’attuale infestazione dell’amaranto ne è una dimostrazione: la miopia degli agricoltori americani è spiegabile solo alla luce della corresponsabilità di un sistema privato della gestione del potere, della connivenza del sistema politico, e spesso della complicità dei mezzi di comunicazione che per motivi di interesse non forniscono la copertura mediatica che dovrebbero a questioni come la presente di estrema importanza.
La rivista Forbes nel gennaio 2010 ha premiato Monsanto come l’azienda dell’anno. Il 2010 è anche l’anno internazionale della difesa della biodiversità: sarebbe bene non dimenticarlo.
ddm
Le Monde, Gaëlle Dupont, La mauvaise graine de Monsanto, 19/10/2010, trad. it. Internazionale 872
King Corn, regia di Aaron Wolf, U.S.A. 2007 riguardo all’agricoltura intensiva statunitense
http://www.opensecrets.org/lobby/clientsum.php?lname=Monsanto+Co&year=2008 sulle attività lobbistiche della Monsanto
http://en.wikipedia.org/wiki/Glyphosate#Effects per la controversia degli effetti del glifosato sulla salute umana e sull'ambiente
http://www.understandingpower.com/chap3.htm nota 52, per maggiori informazioni sugli effetti dell’ “agente Orange”
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